GENITORE IDEALE –AMARE LA DIVERSITÀ DI TUO FIGLIO

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Diversità, si possono imparare ad amare le diversità in tuo figlio?

Pur cercando la conformità, la diversità è ovunque, è tutta intorno a noi ed è l’unica cosa che ci accomuna tutti quanti.

E, direi meno male che siamo tutti un pò diversi, altrimenti vivremo in un mondo di manichini.

Nonostante siamo tutti diversi è naturale voler assomigliare agli altri, per un bisogno primario dell’essere umano di sentirsi parte di un gruppo.

“Dio ha fatto gli uomini diversi fra loro perché potessero meglio conoscersi.” – Roberto Gervaso

Il bisogno sociale è uno dei bisogni fondamentali. Essere riconosciuti dai propri simili, provare senso di appartenenza e ricercare sintonia e accettazione è uno dei bisogni primari dell’ essere umano.

Perciò è più che normale voler aderire a pensieri comuni, visioni o credenze comuni, che inevitabilmente ci fanno sentire simili e, di conseguenza, accettati dagli altri.

Inoltre, è difficile sfidare le credenze condivise perché spesso si tende a scambiarle per verità assolute.

“Nella civiltà occidentale contemporanea, l’unione col gruppo è la maniera più frequente per superare l’isolamento. È un’unione in cui l’individuo si annulla in una vasta comunità, e il suo scopo è quello di far parte del gregge. Se io sono uguale agli altri, sia nelle idee che nei costumi, non posso avere la sensazione di essere diverso. Sono salvo: salvo dal terrore della solitudine.” – Erich Fromm

Quando si tratta di educare i nostri figli però, potremmo avere qualche problema.

Il bisogno di omologare i nostri figli , o anche il tipo di educazione che si impartisce, rischia di non tenere conto delle regolari diversità di ogni bambino.

È tendenza comune voler adeguare tutti i bambini a degli standard comuni. In base all’età “devono” saper fare cose, essere in un determinato modo ed aver acquisito specifiche capacità.

Questo articolo serve per farti riflettere sulle tue azioni, impiegate quotidianamente nell’omologare  e rendere il tuo bambino più somigliante possibile al tuo bambino ideale, ma anche agli altri bambini,  al punto di annullare a volte la sua naturale diversità.

Se proseguendo con la lettura ti renerai conto di averlo fatto, è importante non accusarti o giudicarti, ma semplicemente iniziare ad applicare un modo diverso da quello adottato finora.

La diversità fa paura a tutti e tu non sei immune più di altri. Sicuramente tuo figlio ti perdonerà, perciò perdonati anche tu per primo e fai del tuo meglio da ora in avanti.

“È tempo per i genitori d’insegnare ai giovani che nella diversità c’è bellezza e c’è forza.” – Maya Angelou

Tu hai dentro di te la tua forza, e la tua guida interiore sa quello di cui il tuo bambino ha bisogno. Tu sai riconoscere meglio di chiunque altro le sue personali abilità, la sua unicità e i suoi punti di forza.

Il tuo bambino ha solo bisogno di essere visto per quello che è.

Ha bisogno di essere sostenuto da te, la sua principale figura di riferimento, e di non essere inibito, in modo che lui possa essere accompagnato e guidato alla sua autorealizzazione.

A volte riteniamo troppo scontati i talenti dei bambini e il loro temperamento individuale, e troppo spesso puntiamo il dito sulle loro debolezze.

Insistiamo nel farli diventare “bravi” in tutto, indirizziamo le loro energie sul recupero anziché sul potenziamento.

“È necessario cogliere negli altri solo quello che di positivo sanno darci e non combattere ciò che è diverso, che è “altro” da noi.” – Nilde Iotti

Dovremmo saper guardare alle debolezze come a quelle caratteristiche che non ci appartengono, come una tartaruga che non fa staffette, come un pesce che non vola, come una mucca che non fa le uova.

Se un bambino nasce biondo e non bruno è per te forse un problema?

Allo stesso modo, per qualcuno diventa un dramma dover fare dei calcoli, come per te dover cambiare la gomma dell’auto, per altri è una noia mortale il cucito o stirare, per altri ancora fare puzzle, rebus e persino cantare o disegnare.

“Un tulipano non si preoccupa d’impressionare nessuno. Non lotta per essere diverso da una rosa. Non ne ha bisogno. È diverso. E nel giardino c’è spazio per ogni fiore.” – Marianne Williamson

La natura è perfetta… allora perché darci talenti che non combaciano con il nostro progetto oppure darci solo debolezze di cui non ce ne facciamo nulla?

Perché dovrebbe essere un problema il fatto che si è più portati per una cosa piuttosto che per un’altra?

Questo non vuol dire che non possiamo o non dovremmo imparare un pò di tutto, anzi. Soltanto che questo desiderio deve poter nascere spontaneamente nell’animo di ognuno.

Se il bambino non si è sentito represso, non è stato sminuito, se ha potuto mantenere elevata la sua innata autostima, liberamente cercherà di migliorarsi, di maturare e di conoscere sempre di più cose.

“Il rispetto è l’apprezzamento della diversità dell’altra persona, dei modi in cui lui o lei sono unici.” – Annie Gottlieb

Dovremmo imparare proprio da loro. I nostri bambini sono i migliori maestri per quanto riguarda l’accettazione della diversità e il rispetto dell’ alterità. Basta guardarli mentre giocano con bambini sconosciuti solo fino a un minuto prima.

Loro non si giudicano, non si paragonano, non si commentano, sono loro stessi e sono sereni. Invece noi sappiamo molto bene che per noi adulti, e tra adulti, non è sempre così.

Succede spesso a scuola, ma succede purtroppo anche a casa. Paragoni con altri compagni o con i fratelli, ricatti o punizioni per ottenere che facciano come vogliamo noi, indurre sensi di colpa per non averci assecondati, giudizio costante sulle loro azioni, poca empatia, etc. creano indicibili danni all’autostima dei bambini.

Loro per natura sono collaborativi, ma il nostro imporci su di loro, farli sentire sbagliati, rende tutto più difficile, creando opposizioni e capricci, trasgressioni alle regole.

“Più si è intelligenti, più si scopre che ci sono uomini originali. La gente comune non trova differenze tra gli uomini.” – Blaise Pascal

Accettare la diversità di ognuno, l’unicità come dono, le peculiarità come caratteristiche apprezzabili, aiuterà tuo figlio a sviluppare una solida autostima e a sentirsi accettato molto di più di quanto possa farlo l’omologazione.

Il bisogno dell’autorealizzazione attraverso l’identità, l’autonomia e l’autostima è un bisogno superiore nella scala di Maslow  rispetto al bisogno di riconoscimento e dell’accettazione sociale.

Anzi è il bisogno più alto in assoluto, quello più maturo e caratteristico delle società e delle persone più evolute.

“Frequentare persone diverse da noi non allarga i nostri orizzonti; serve solo a confermarci nell’idea di essere unici.” – Elizabeth Bowen

L’accettazione e il rispetto per la sua diversità, come quella di chiunque altro, lo tiene al riparo dal bisogno di approvazione e riconoscimento esterno.

In pratica, gli stai insegnando di divenire ciò che già è, che essere se stessi e volersi realizzare, volersi autonomamente migliorare è più importante che conformarsi agli altri e far parte di un gregge per poter esistere.

“La bellezza non risiede nell’uguaglianza, bensì nella diversità.” – Paulo Coelho

Non per ultimo, gli insegnerai così la tolleranza e la capacità di accogliere l’altro. Devo correggermi, in realtà non glielo dovrai insegnare dato che è già innata dentro di noi, ma semplicemente contribuirai a mantenerla viva e concreta nella sua vita.

Se è vero che la poca tolleranza verso la diversità è una delle primarie fonti di infelicità e di conflitti, con un simile modo di essere nei suoi confronti avrai certamente contribuito alla sua futura felicità.

Mi piacerebbe conoscere le tue riflessioni o la tua personale esperienza, quindi vorrei che la riportassi nei commenti qui sotto. Grazie!

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A presto!

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GENITORE IDEALE – HO PAURA, FORSE MIO FIGLIO HA QUALCOSA CHE NON VA’?

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GENITORE IDEALE – MIO FIGLIO HA QUALCOSA CHE NON VA’?

GENITORE IDEALE – HO PAURA, MIO FIGLIO HA QUALCOSA CHE NON VA’?

Oh mio Dio! … e se fosse vero che mio figlio ha davvero qualcosa che non va’…? Terrore puro… Domanda piena di paura, inquietante, straziante per il cuore di qualsiasi genitore.

La prima paura del genitore è di non riuscire a trovare in quel figlio così tanto desiderato, le caratteristiche che lo renderebbero felice e orgoglioso di essere genitore. La mancanza di tutte quelle qualità costruite irrealmente nella sua attesa, sposta e allontana paurosamente dall’immagine ideale creata nel tempo.

“Penso che talvolta i veri limiti esistano in chi ci guarda.” – Candido Cannavò

Successivamente alla prima reazione,  alla paura si mischia dell’amore, che in effetti però genera un altro tipo di preoccupazione. Questa volta è paura per la sopravvivenza e le future capacità sociali del proprio figlio.

La volontà di proteggerlo dalle difficoltà che incontrerà nella vita, dalla derisione o dalla cattiveria degli altri, dai possibili problemi di autonomia, rendono il genitore particolarmente sofferente e preoccupato.

Inoltre, la società odierna ha individuato diagnosi di ogni tipo, per motivare quello che non si adatta perfettamente a quell’ideale che abbiamo comunemente identificato come “normalità”.

“La disabilità è una questione di percezione. Se puoi fare anche una sola cosa bene, sei necessario a qualcuno.”- Martina Navrátilová 

Ecco allora che ogni genitore responsabile va alla ricerca di soluzioni, sia per proteggere il proprio figlio che per contenere e possibilmente attenuare tutte queste sue paure, con il rischio però di focalizzarsi troppo sul problema e poco sulla sua soluzione.

Siccome non sempre le difficoltà dei bambini sono necessariamente sinonimo di patologie, un bambino che non ce la fa ad apprendere una qualsiasi abilità incorre nel rischio di diagnosi, prima ancora che si provi se lo si può veramente aiutare.

La principale preoccupazione diventa, senza volerlo, capire ciò che non va in lui, più di quanto non lo è di imparare noi per primi come agire per aiutarlo a superare le sue difficoltà.

“La madre è orgogliosa del figlio che è salito in alto, ma darebbe la vita per l’altro: per il figlio senza fortuna.” – Libero Bovio

E se prima di tutto ci mettessimo noi a studiare e imparare come realizzare il miglior ambiente facilitante, educante e adatto ai bisogni dei nostri figli?

Se noi per primi diventassimo dei catalizzatori per attivare e incoraggiare le risposte delle loro funzioni attraverso stimoli quotidiani?

Se cercassimo prima di tutto, di capire quale è il blocco, la difficoltà, il perché non ce la fa?

“Non esiste un modo per essere una madre perfetta, ma ci sono milioni di modi per essere una  buona madre.”  – Jill Churchill

Le classiche attività quotidiane e la creazione di un ambiente armonico, sereno e amorevole sono una prerogativa essenziale per avere una facilitazione nell’ acquisizione di qualsiasi abilità.

Inoltre, tutti noi possiamo interagire con i nostri figli con dei giochi stimolanti e creativi, aiutando il cervello plastico attraverso la potenza cognitiva del giocattolo, a strutturare le sue funzioni fondamentali.

Potremmo quindi agevolare la comprensione, l’esercizio, la memoria, la concentrazione, la coordinazione, etc. anche ispirandoci alla ricerca scientifica, dallo sperimentare ed anche assistiti dal digitale, utilizzando strumenti per cercare di ottenere il meglio dalle capacità di ogni bambino, semplicemente giocando insieme a lui.

“Le verità che contano, i grandi principi, alla fine, restano due o tre. Sono quelli che ti ha insegnato tua madre da bambino”. – Enzo Biagi

A tutti i bambini dovrebbe essere garantito il diritto al massimo delle proprie funzioni, ma questo non dovrebbe cedere la priorità di cercare dei meccanismi di aiuto partendo dalla famiglia stessa.

Molte volte si tratta di piccole difficoltà educative, di stress o di problemi personali, oppure di disequilibrio nella coppia, di difficoltà nei rapporti. Senza paura, sensi di colpa o giudizio, si potrebbe provare ad osservare le proprie dinamiche relazionali, il modo in cui ci rapportiamo ai nostri figli.

Dovremmo capire che siamo il risultato di ciò che ci hanno insegnato o che abbiamo appreso attraverso le nostre personali esperienze.

Si potrebbe anche scoprire che potremmo sempre imparare modi nuovi più efficaci, trovare strategie che producano risultati più soddisfacenti.

Si tratterebbe soltanto di mettersi in gioco per primi e di non delegare a degli estranei la responsabilità della serenità e della salute emotiva dei nostri figli.

Sicuramente specialisti, medici, insegnanti hanno moltissime più conoscenze tecniche riguardo all’essere umano, ma nessuno ha la comprensione del bambino come il suo genitore.

“C’è un solo bambino bello al mondo, e ogni mamma ce l’ha.” – Anonimo

Osservarlo, accoglierlo, accettarlo, ascoltarlo, passere del tempo insieme, avere fiducia nelle sue capacità, alimentare la sua autostima, sostenerlo ed essergli una guida, essere autorevoli, riconoscere ed elogiare i suoi progressi quotidiani… sono un enormità di cose che dovremmo saper fare.

Il ruolo genitoriale rischia di essere ancora più complesso, quando si ha paura di essere inadeguati o del giudizio altrui, quando si è stanchi o insoddisfatti della propria vita, quando si hanno delle  difficoltà personali da superare.

Dovremmo forse prima di tutto cercare delle soluzioni al nostro personale benessere, di conseguenza a quello dei nostri bambini e solo successivamente cercare delle diagnosi.

Il bambino non riuscirà a capire tutte le nostre fatiche, tutte le energie che abbiamo impiegato nella sua crescita, ma sentirà forte e chiaro il messaggio che noi abbiamo fatto del nostro meglio per accettarlo, per amarlo e per proteggerlo.

“Non saprei indicare un bisogno infantile di intensità pari al bisogno che i bambini hanno di essere protetti dal padre.” – Sigmund Freud

 

 

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GENITORE IDEALE – Bisogno di riconoscimento

Diventare consapevoli del nostro comportamento del nostro bisogno di autoaffermazione e di riconoscimento non ci renderà perfetti, autosufficienti o privi di emozioni come dei robot, ma solo un pò più umani, più tolleranti e più attenti alle lezioni che vogliamo impartire ai nostri figli.

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RICONOSCIMENTO

Bisogno di riconoscimento, oggigiorno comunemente tradotto “like”.

A causa di frequenti manifestazioni di comportamenti visibilmente anomali in rete soprattutto ma non solo, ho deciso che oggi vi voglio parlare del bisogno di riconoscimento.

Il bisogno di riconoscimento è insito in tutti noi, è naturale, fa parte dei bisogni sociali, ma come tutte le cose quando sono in disequilibrio, può diventare causa di comportamenti inadeguati.

Ovviamente qui parleremo di quest’ argomento in relazione all’ educazione, degli effetti che questo bisogno causa in noi e del modo in cui educhiamo i nostri figli.

“Ci sono solo due lasciti inesauribili che dobbiamo sperare di trasmettere ai nostri figli: delle radici e delle ali”. – (Harding Carter)

Molto spesso si notano situazioni di eccesso di questo bisogno e siamo subito pronti a criticarlo come comportamento sbagliato.

Facebook ad esempio, alimenta con molta facilità questo tipo di comportamento, ma pur criticandolo, tutti noi prima o poi ci caschiamo nel metterlo in atto più o meno frequentemente.

Sorge spontaneo chiedersi allora, da dove nasce questo bisogno, che sembra non risparmi proprio nessuno?

Ed anche, quanto è realmente sbagliato un comportamento del genere?

Come posiamo ritrovare il giusto equilibrio manifestando il bisogno di autoaffermazione senza incorrere nell’esibizionismo?

“Se troviamo in un gruppo un modello culturale di comportamento improntato ad autoaffermazione, si può sviluppare una situazione competitiva in cui l’autoaffermazione porta a maggiore autoaffermazione, e così via. Questo tipo di cambiamento progressivo possiamo chiamarlo schismogenesi simmetrica.” – (Antropologo Gregory Bateson- da Naven, Stantford University Press, 1958)

Capisco che forse è un argomento che ha bisogno di un maggiore approfondimento.  Le tendenze schismogenetiche, come dice lo stesso Bateson operano nella dinamica della società solo se l’educazione ricevuta nell’infanzia non è tale da impedirne l’espressione nella vita adulta.

La frequente dicotomia delle strutture bipolari delle società capitaliste diventano anche parti caratteriali impresse all’interno dell’ individuo.

Inoltre, i contesti fortemente competitivi favoriscono e alimentano la schismogenesi portando inevitabilmente alla distorsione di un legittimo bisogno iniziale e a varie rotture e conflitti interpersonali.

Ma cerchimo di capire tutto questo con degli esempi pratici, rendendo tutto più semplice e comprensibile per tutti.

Nel nostro caso, potrebbe essere un esempio l’ educazione che abbiamo ricevuto e la società stessa che tende a disprezzare l’autoaffermazione, ammirando invece l’ arrendevolezza e la sottomissione.

“Un bambino è un angelo le cui ali diminuiscono man mano che le sue gambe si allungano.” -(Anonimo)

Il bisogno di riconoscimento non nasce forse da una necessità più che legittima di sapere di essere esattamente dove si dovrebbe essere e che sia un proprio diritto essere li?

Decisamente i bisogni sociali morbosi di protagonismo e di esibizionismo in età adulta sono il risultato di qualcosa che non ha funzionato a dovere nell’educazione nell’ infanzia, ma viene anche amplificato da ciò che non funziona nella società o nell gruppo di appartenenza.

I bisogni sono sacrosanti ed è necessario riconoscerli e cercare di soddisfarli per vivere bene e per evitare che nel lungo termine possano solo acutizzarsi e peggiorare fino a squilibrare il benessere della persona. Quindi non permettiamo che guidino la nostra vita senza esserne consapevoli.

“Mentre cerchiamo di insegnare ai nostri figli tutto sulla vita, i nostri figli ci insegnano che la vita è tutto. ” – (Angela Schwindt)

Cercando di definire meglio l’argomento in relazione all’educazione e all’ influenza che poi ha sulla formazione caratteriale dei bambini, ricercando quindi di evidenziarne l’origine, mi viene in mente un tipo di situazione in particolare.

Per la nostra immensa voglia di insegnare ciò che è meglio nella vita ai nostri figli, (a tutti i bambini in generale rivolgendomi agli insegnanti), educhiamo impartendo “preziose” lezioni quotidiane.

Anzi, a volte non ci limitiamo ai bambini, ma anche a colleghi e amici, e anche ai nostri genitori oramai anziani. E questo non è forse un’ evidente bisogno di riconoscimento  e di autoaffermazione…?

Vorrei soffermarmi sui bambini in questo caso, perché poi loro ci credono molto più di altri a tutto ciò che noi diciamo, fidandosi ciecamente. Oltretutto noi siamo convinti delle nostre idee ed anche di doverle inculcare loro, perciò facciamo di tutto per convincerli (ahimè, con le buone o con le cattive) che devono assolutamente seguire le nostre indicazioni.

“I bambini e le cerniere non reagiscono alla forza… Eccetto occasionalmente.” – (Katharine Whiterhorn)

Vogliamo prepararli alla vita, quindi la prima cosa che facciamo è sminuirli. Certo, detto così, probabilmente nessuno è d’accordo con quello che sto dicendo, ma purtroppo è esattamente quello che facciamo.

Ogni volta che diciamo ai bambini, direttamente o indirettamente, che non valgono abbastanza, che non sempre avranno ciò che vorranno, che ci sarà sempre qualcuno migliore di loro, soprattutto nei primi anni di vita, quando, trovandosi nella loro fase egocentrica, avrebbero bisogno di sentire l’esatto opposto.

Ma noi lo facciamo perché abbiamo paura per loro, che possano venir su dei mollaccioni viziati, convincersi che gli sia tutto dovuto e… (rullo di tamburi) lo facciamo perché siamo noi ad avere paura di fallire miseramente nel nostro ruolo genitoriale, quindi di non riuscire a plasmare degli esseri pronti ad affrontare tutte le sfide che la vita riserverà loro.

“L’infanzia è come un cuore: i suoi battiti troppo veloci ci spaventano. Facciamo di tutto perché il cuore s’infranga. Il miracolo è che sopravvive a tutto.” – (Christian Bobin)

Ma non sono qui per giudicarti e non dovresti farlo nemmeno tu, dato che è quello che facciamo tutti. Questo è semplicemente quello che ci hanno insegnato quando eravamo piccoli e che tuttora la società cerca di confermare quotidianamente.

Si, perché tutti noi crediamo che i bambini debbano incominciare a saperlo fin da subito che la vita è dura, che bisogna lottare, perché mica ci possiamo permettere che credano di essere i migliori. Nooo,  facciamogli vivere da subito frustrazioni quotidiane, così saranno sicuramente rafforzati, perché la vita e dura e non perdona nessuno…

In pratica, abbiamo messo a punto la ricetta perfetta per la perdita di autostima e di fiducia… ma il riconoscimento non è forse collegato in qualche modo alla stima di sé?

“I bambini sono come il cemento umido, tutto quello che li colpisce lascia un’impronta.” – (Haim G. Ginott)

Ma, se gli adulti di cui più mi fido non hanno stima di me e non hanno fiducia nelle mie capacità, io come faccio a credere in me stesso?

E quindi non sono autorizzato a credere di meritare qualcosa, di avere un alto valore di me stesso, perché non è apprezzato, non è previsto, non sarebbe contro ciò che mi hanno insegnato?

Non sarà mica che poi per tutta la vita si avrà bisogno di essere riconosciuti meritevoli da qualcun’ altro avendo perso la capacità e il diritto di autoaffermarsi?

Tutti noi abbiamo ricevuto dei messaggi nei quali ci dicevano di non essere all’altezza, che hanno contribuito a renderci bisognosi dell’approvazione altrui.

Ci hanno costantemente boicottato la possibilità di appagare il bisogno di autostima e di autorealizzazione, che si trovano in posizione nettamente superiore nella scala dei bisogni rispetto al bisogno di riconoscimento.

“Tutti i grandi sono stati bambini una volta, ma pochi di essi se ne ricordano.” – (Antoine de Saint-Exupéry)

Come indicato nella piramide dei bisogni di Mashlow, stando in effetti ai gradini più elevati, il desiderio di riconoscimento sociale, di stima e il desiderio di autoaffermazione sono sani e fanno parte delle necessità esistenziali dell’essere umano.

Una volta che avremo superato i bisogni essenziali, non avendo più necessità di lottare per la sopravvivenza, per l’accettazione, per la sicurezza, diventeremo capaci di convogliare le nostre energie su bisogni più alti come l’ autostima, la dignità l’ autoaffermazione e la realizzazione di sé.

Quindi, mentre ci occupiamo delle nostra sana autoaffermazione che si conquista con la realizzazione di sé, avanti pure con qualche like, che ogni tanto fanno bene all’autostima, ma con la consapevolezza del perché ne abbiamo bisogno.

Cerchiamo il più possibile di appagare i bisogni più alti e non ridurci solo a diventare dipendenti di attegiamenti esibizionistici e del riconoscimento altrui.

Diventare consapevoli del nostro comportamento, non ci salverà dai nostri bisogni essenziali, quelli del gradino più basso, rendendoci autosufficienti e privi di emozioni come dei robot, ma ci renderà forse più umani e tolleranti verso i bisogni inappagati degli altri, anche quando questi sono ancor più morbosamente bisognosi  di noi.

Soprattutto però quello che io spero con tutto il cuore, è che ci renda più attenti alle lezioni che vogliamo impartire agli esseri sensibili e vulnerabili, dei quali ci dovremmo sentire profondamente responsabili, i nostri bambini.

“Con i bambini capirsi è semplice. Quando ti prendono per mano, hanno già scelto di fidarsi di te.” – (valvirdis, Twitter)

Anche io, come tutti ho lo stesso sano bisogno di riconoscimento 😉 , quindi se ti è piaciuto l’argomento non esitare di mettere il tuo like all’articolo. Questo è solo uno dei modi per dimostrarmi che il mio tentativo di aiutare anche qualcun’altro è risultato anche tempo ben impiegato per la mia autoaffermazione.

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Mi piacerebbe conoscere le tue riflessioni o la tua personale esperienza e ti chiederei di riportarla nei commenti qui sotto. Potrebbe essere utile condividerla con altri e confrontarsi. In ogni caso un scambio d’idee può essere arricchente per tutti. Grazie!

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Genitore ideale, quali bugie racconti ai bambini?

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Allora, hai pensato se, e quali bugie racconti ai bambini?

“Se menti a tuo figlio (anche nelle piccole cose come quando gli dici che tornerai subito e non è vero) è probabile che lui si sentirà in diritto di mentirti e di considerare la menzogna uno strumento utile e un diritto” –Roberta Cavallo

Ho avuto modo in questi giorni di riflettere sulle bugie e, con l’aiuto di una funzione di facebook, di ricordare un episodio accaduto un anno fa. Una discussione con un altro utente, sulla frase riportata qui sopra di Roberta Cavallo.

Mi ricordo molto bene l’irritazione che ho provato quando ho visto il commento di questa persona postato sotto questa frase, che personalmente reputo così profonda e così vera, su un argomento importantissimo nella relazione coi bambini.

L’atteggiamento che adottiamo in relazione alle bugie è determinante in tutte le relazioni interpersonali, ma è di un’importanza fondamentale nel rapporto con i nostri bambini.

“Non c’è cosa che più avvilisce l’uomo quanto la bugia, vizio brutto, vizio vile, vizio abbominevole, vizio degli schiavi, delle spie, degli infami.” –Luigi Settembrini, Lettere, XIX sec.

Il post parla in sostanza di quanto è dannoso utilizzare la bugia nelle relazioni, e persino l’utilizzo di piccole bugie,spesso ritenute innocue.

A volte cerchiamo giustificazioni considerando le bugie “a fin di bene” o addirittura bugie per “amore”, per “proteggere” o per non provocare dispiaceri.

La bugia però determina una perdita di fiducia nelle relazioni, una mancanza di legami profondi, delle conseguenze deleterie future.

“La bugia è brutta anche quando essa giova: or che sarà quando nuoce?” – Michele Colombo

Ma torniamo al commento di prima. In pratica, mi ritrovo con questo commento che in realtà era un link di un articolo dove invece la bugia veniva esaltata indirettamente.

In sostanza, facendo il riassunto dell’articolo, venivano valutati come più intelligenti i bambini in relazione a quanto precocemente avessero imparato a dire bugie.

Cioè… forse non ho capito bene… speravo. E invece si, diceva proprio così!

Sappiamo benissimo che un bambino piccolo impara attraverso il modello degli adulti e l’imprinting, non avendo ancora meccanismi personali per filtrare le informazioni ricevute.

Sicuramente un bambino piccolo che riesce ad imparare precocemente strategie utili alla sua sopravvivenza, manifesta e rende evidente anche agli altri la sua intelligenza.

Ma possiamo insegnare loro come strategia utile l’utilizzo delle bugie?

Fondamentalmente, essendo considerato uno strumento adeguato di cui servirsene a piacimento, giustificato dallo stesso utilizzo che ne fanno gli adulti, e accanto al messaggio sull’intelligenza di cui ne parlava l’articolo in questione, riusciamo a rendere la bugia non soltanto valida, ma nientemeno che raccomandata.

Quindi, se le persone più importanti nella vita dei bambini lo fanno quotidianamente, non possono che assimilare che anche loro sono giustificati e, in questo caso, addirittura incitati a dire le bugie…

“Una bugia può prendersi cura del presente, ma non ha futuro.” – Anonimo

Mi chiedo perché continuiamo a meravigliarci del comportamento dei ragazzi  più grandi, o di adolescenti che troppo spesso contestano gli insegnamenti ricevuti e non condividono i loro pensieri personali con i propri genitori, quando invece lo fanno con altri adolescenti e raramente, ma capita a volte, con alcuni insegnanti?

Purtroppo non è soltanto questo a determinare la perdita di fiducia. Infatti la perdita di fiducia ha profonde radici anche nella non accettazione, e per questo le dedicherò un altro articolo prossimamente.

“La paura ci fa diventare bugiardi perché temiamo che la nostra verità venga condannata.” –Romano Battaglia, Oltre l’amore, 2010

Ti invito a riflettere sulla motivazione che porta a dire le bugie e nuovamente ti chiedo, tu, quali bugie racconti ai bambini?

Mi piacerebbe conoscere le tue riflessioni o la tua personale esperienza e ti chiederei di riportarla nei commenti qui sotto. Potrebbe essere utile condividerla con altri e confrontarsi. In ogni caso un scambio d’idee può essere arricchente per tutti. Grazie!

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GENITORE IDEALE -SEI UN BUON ESEMPIO?

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SEI UN BUON ESEMPIO?
SEI UN BUON ESEMPIO?

TI SEI MAI CHIESTO SE SEI UN BUON ESEMPIO PER TUO FIGLIO, O CONTINUI A DARE LA COLPA AI NONNI, ALLA SCUOLA O ALLA TV…?

 

Sii te stesso; tutti gli altri sono già occupati. (Anonimo – attribuito a Oscar Wilde)

 

La condizione di base per essere un buon educatore è di essere prima di tutto un buon esempio. Praticare ciò che si cerca di trasmettere, essere autentici e coerenti, garantisce nel tempo una buona riuscita della relazione.

Questo è particolarmente vero nei rapporti tra genitori e bambini, perché questo tipo di atteggiamento non soltanto influirà la formazione delle convinzioni, della fiducia negli altri, quindi del carattere, ma sarà determinante per le loro future relazioni.

Essere per i bambini un riferimento di fatto ci carica di un’enorme responsabilità. Potremmo in effetti sentire come eccessivamente  gravoso il nostro compito di adulto educante (vale ovviamente come sempre per i genitori ma anche per insegnanti, maestri etc.).

La cosa più facile di questo mondo è essere ciò che siamo, mostrare ciò che proviamo. (Leo Buscaglia, Amore, 1972)

La grossa responsabilità che proviamo quindi ci può creare non pochi problemi. Ad esempio potremmo evitare di mostrare le nostre reali emozioni, perché siamo convinti di dover essere sempre perfetti , e mostrarsi indecisi o arrabbiati ci farebbe sembrare deboli agli occhi dei bambini.

Abbiamo paura di mostrarci per ciò che siamo e di esprimere quello che proviamo innanzitutto per il timore di perdere la nostra autorità. Il problema è che ci riesce molto male visto che nella comunicazione intervengono altri aspetti oltre alle parole che diciamo.

Il linguaggio verbale, che indica ciò che si dice, la scelta delle parole, la costruzione logica delle frasi e l’uso di alcuni termini rispetto ad altri è solo una delle componenti della comunicazione.

La componente paraverbale è invece il modo in cui qualcosa viene detto. Ci si riferisce al tono, alla velocità, al timbro, al volume della voce etc. o all’uso della punteggiatura nella scrittura.

Inoltre c’è anche una componente non verbale, il famoso linguaggio del corpo, che riguarda tutto quello che si trasmette attraverso la propria postura, i propri movimenti, il modo di vestire etc.

Questo non sarebbe così grave, se non fosse che quello che diciamo a parole, quindi con il linguaggio verbale è appena il 7% decisamente insignificante rispetto al 93% totale degli altri tipi di comunicazione, quindi di ciò che non si dice.

Il difficile è vivere realmente la propria vita, senza recitarne un’altra che ci protegga da essa. (Mauro Parrini, A mani alzate, 2009)

Questo è solo un esempio di quanto è difficile insegnare agli altri ciò che non si è realmente.

Trasmettere delle abitudini che non condividiamo, insegnare competenze in cui non crediamo, educare imponendo pratiche che non esercitiamo, inculcare quello che proclamiamo senza però in realtà praticarlo è un’impresa ardua e demoralizzante e non può altro che fallire miseramente.

Abbiamo moltissime difficoltà ad accettare che non sempre riusciamo ad essere un buon esempio.

In effetti capita frequentemente di lamentarci che non ci spieghiamo proprio come mai questi bambini si comportano diversamente da quanto noi vorremmo, nonostante tutti i nostri buoni insegnamenti e ramanzine varie messe in atto quotidianamente.

Dare la colpa ai nonni perché li viziano, all’altro genitore perché fa l’amico/a e non impone regole, alla famiglia se invece si tratta di insegnanti, ci esonera dalla responsabilità di essere e sentirci educanti o diseducanti nei confronti dei bambini.

Vivere è l’arte di diventare quello che si è già. (Fabio Volo, Il tempo che vorrei, 2009)

Possiamo allora smettere di prenderci in giro per un pò e provare ad osservarci, nei nostri atteggiamenti, nei nostri modi di fare, nelle cose che diciamo. Quanto ciò che diciamo rispecchia la realtà di quello che realmente siamo?

E se voglio insegnare a dire la verità, non dovrei io per primo/a essere un modello di verità?

Se voglio che l’altro sia rispettoso, forse io per primo/a non dovrei imparare a rispettare l’altro?

Se voglio che sia gentile come non debba essere gentile per primo/a?

Questo è un principio che vale il tutte le fasi della vita, ma è ancor più importante, anzi è fondamentale nella prima infanzia.

Se vogliamo avere la possibilità di costruire una buona relazione con i nostri bambini e dare loro una buona educazione senza tutte le strategie faticose e poco efficaci della manipolazione, dell’imposizione, delle punizioni, non possiamo ignorare Maria Montessori.

Non possiamo sottovalutare l’importanza del nostro comportamento quando ci dice che i bambini si formano a spese dell’ambiente…

Non possiamo sfuggire alle nostre responsabilità quando sappiamo che i bambini hanno una mente assorbente…

Però sei libero di continuare ad arrabbiarti con gli altri, incolpare i bambini di essere disubbidienti e utilizzare le punizioni o altre tecniche e prediche varie.

Se ti senti tenuto ad aderire sempre alle norme, sei destinato a una vita di schiavitù emozionale. Ma la nostra cultura insegna che è male disubbidire, che non si deve mai far nulla che vada contro le regole. L’importante è che stabilisca tu quali sono le regole che funzionano e che sono necessarie per preservare l’ordine nella nostra cultura, e a quali invece è lecito disubbidire senza danno per te o per gli altri. Non è redditizio ribellarsi per il gusto della ribellione, mentre giova assai essere se stessi e vivere la propria vita secondo la propria scala dei valori. (Wayne Dyer, Le vostre zone erronee, 1976)

Dovremmo decidere prima di tutto quello che per noi è realmente importante, capire quali sono i nostri valori e cercare di perseguire la propria strada seguendo la personale guida interiore.

In questo modo si possono compiere azioni basate su comportamenti autentici e diventare una guida coerente e un buon esempio, insegnando attraverso il comportamento senza fatica.

Mi piacerebbe conoscere le tue riflessioni o la tua personale esperienza e ti chiederei di riportarla nei commenti qui sotto. Grazie!

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A presto!

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